GIANNI DE TORA

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2009 "Tracce Segniche" Castel dell'Ovo, Napoli 20 gennaio 20 febbraio

ARTICOLO DI ROSARIO PINTO SUL QUOTIDIANO ''ROMA'' DEL 22 GENNAIO 2009

Tracce segniche, l'arte del Novecento

E' stata inaugurata martedì, nelle sale del Castel dell'Ovo a Napoli una mostra che intende tracciare un primo bilancio d'una prassi artistica imperniata intorno all'irrinunciabilità del "segno" ed alla pregnanza materica. Il suo titolo è "Tracce Segniche" e propone quattro personalità di artisti napoletani, che hanno svolto - lungo tutto l'arco della seconda metà del Novecento - una ricerca creativa di taglio informale, porgendo attenzione - e sempre all'interno d'un intervento aniconico - anche ad esigenze più dilatatamente astratto-oniriche, Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti sono gli artisti intorno ai quali questa rassegna si impernia: sono personalità notissime anche a livello internazionale e si presentano al pubblico partenopeo con una proposta espositiva che non ha soltanto il pregio di additare alcune cose della loro più recente produzione, ma anche quello di gettare uno sguardo su di una temperie produttiva che non ha mai dismesso, unitamente con l'impegno contenutistico, una progettazione creativa significativamente imperniata sul dato materico. In tale senso, insomma, Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti possono essere considerati degli archetipi modulari alla cui stregua è possibile avere uno spaccato paradigmatico d'un intero cinquantennio vissuto artisticamente nel segno dell'informale. "Tracce Segniche" è, perciò, il titolo che sintetizza proprio tali ragioni. E il fruitore ha l'opportunità di confrontarsi con un processo artistico che non rifiuta - proprio nel nome d'una convinta scelta "non-oggettuale" - il pieno coinvolgimento sul piano dell' "oggettività". Per effetto di ciò avviene che la prospettiva non figurativa non sia affatto slegata dalla realtà delle cose, delle quali fornisce, piuttosto, una rappresentazione inusuale ed apolide, spaziata entro le logiche d'un ragionamento che è innanzitutto d'ordine morale, e che, poi, si diffonde come chiave di comprensione dell'esistente e della storia. Il volume di saggi che accompagna la rassegna suggerisce con ampiezza di documenti e di rimandi storici gli ancoraggi di questa arte alle più significative espressioni di marca "informale", fornendo indicazione delle specificità individuali dei singoli artisti: così degli afflati lirici di Auriemma, come del controllo bilanciato di De Tora, nonché della straordinaria e pienamente matura forza espressiva di Di Ruggiero e, infine, degli spessori e dei volumi della scultura di Ferrenti.

 
ARTICOLO DI DANIELA RICCI SUL QUOTIDIANO ''IL MATTINO'' DEL 5 FEBBRAIO 2009

L'ESPOSIZIONE «Tracce segniche» bilancio di mezzo secolo

Con l'obiettivo di sviluppare un serio e costruttivo dibattito storiografico sul nostro passato più vicino è stata recentemente inaugurata nelle sale del Castel dell'Ovo la mostra intitolata «Tracce segniche». Quattro gli artisti invitati, l'occasione si propone come un momento di riflessione su un intero periodo dell' arte napoletana, quello della seconda metà del Novecento. Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti i punti di riferimento di una stagione dell'arte sulla quale è ormai tempo di cominciare a definire un bilancio storico. La mostra, visitabìle fino al 20 febbraio, curata da Rosario Pinto con il contributo di Franco Lista, è concepita con un disegno programmatico e affronta temi scottanti e controversi del rapporto tra astrazione e astrattezza, tra impulsi gestuali e controllo progettuale, tra vigore contenutistico e fughe liriche. Un percorso intorno al quale si potrà meditare, per riuscire a trarre alcune conclusioni o soltanto per riflettere sulle diverse ricerche di questi artisti, che hanno saputo coniugare l'esigenza di espressività generosa e spontanea con il rigore della coscienza creativa, attraversando momenti delicati, che negli ultimi due decenni si sono caratterizzati per l'abbassamento della soglia conte- nutistica. «Il titolo stesso -ha detto Rosario Pinto - esprime proprio la marcata consistenza e la forza della creatività di alcuni che hanno svolto una ricerca travalicando le rispettive esperienze creative, ergendosi a riferimenti paradigmatici, trovando spazio espressivo intorno alle dinamiche informali, per poi ampliare il loro orizzonte verso territori aniconici come quello geometrico o come quello onirico-astratto. Le tracce lasciate, anche se caratterizzate tutte da un forte cultura materica geometrica, pensando in particolare all' opera di De Tora, sono addensate negli spazi come le sculture di Ferrenti, hanno prospettive oniriche come quelle di Auriemma, fino ad arrivare all' espressione informale dei lavori di Di Ruggiero, per riuscire a dare un piccolo contributo, attraverso una vitalità segnico-materica, a dimostrazione del fatto che i loro pensieri non sono mai stati casuali, ma strutturati per analizzare la realtà.

 
ARTICOLO DI ANTONIO FILIPPETTI SUL PORTALE ON-LINE ''ARTE E CARTE'' DEL 22 GENNAIO 2009

Tracce segniche

Promossa dal Comune di Napoli, Assessorato alla Cultura, il 20 gennaio p.v. alle ore 18 si inaugura, nelle Sale del Castel dell'Ovo, la mostra dal titolo "Tracce Segniche" che vede impegnate quattro personalità di artisti napoletani, che hanno svolto - lungo tutto l'arco della seconda metà del Novecento - una ricerca che si impernia intorno alle dinamiche informali per poi ampliare l'orizzonte della propria proposta anche verso altri territori, sostanzialmente aniconici, come
quello geometrico o come quello onirico-astratto. Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti sono i protagonisti di questa occasione espositiva che si propone, quindi, come un momento di riflessione su un intero periodo dell'arte napoletana. E' possibile individuare in queste quattro figure d'artisti i punti di riferimento di una stagione dell'arte sulla quale è ormai tempo di cominciare a definire un bilancio storico. Concepita, quindi con tale disegno programmatico, la mostra "Tracce Segniche" allarga il suo orizzonte e non a caso il suo curatore, Rosario Pinto, nel saggio storico-critico reso in catalogo, affronta i temi scottanti e controversi del rapporto tra astrazione e astrattezza, tra impulsi gestuali e controllo progettuale, tra vigore contenutistico e fughe liriche. Il titolo stesso esprime, d'altronde, proprio la marcata consistenza e la forza d'impatto della creatività di questi artisti che, con straordinaria coerenza, hanno saputo coniugare l'esigenza dell'espressività generosa e spontanea col rigore della coscienza creativa attraversando, senza contaminarsene, anche i momenti più delicati che, soprattutto negli ultimi due decenni, si sono caratterizzati per l'abbassamento della cosiddetta soglia contenutistica. Quella che s'annuncia, insomma, nelle sale di Castel dell'Ovo è una mostra intorno alla quale si potrà sviluppare un dibattito storiografico serio e costruttivo capace di volgersi ad osservare il nostro passato più vicino. Concepita in termini di ponderata meditazione scientifica la mostra è accompagnata da un catalogo in cui, oltre il saggio introduttivo di Rosario Pinto - che fornisce la perimetrazione critico-storiografica del contesto ambientale e culturale entro cui hanno operato Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti, sapendo guardare, oltre l'orizzonte domestico, alla scena internazionale - compaiono i necessari apparati documentari curati da Franco Lista e le numerose immagini che forniscono, per tabulas, l'indicazione di un percorso storico di non trascurabile rilievo.

 
ARTICOLO DI STEFANO DE STEFANO SUL QUOTIDIANO ''IL CORRIERE DEL MEZZOGIORNO'' DEL 5 FEBBRAIO 2009

Collettiva- Quattro artisti da sempre alieni alle forme naturalistiche Tracce segniche a Castel dell'Ovo- Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti Uno spaccato significativo dell'arte napoletana (e italiana) della seconda metà del Novecento. Stasera l'inaugurazione

Se, per dirla con il filosofo francese Gilles Deleuze, il massimo del senso nell'arte contemporanea lo si rintraccia all'interno della sua negazione come entità riconoscibile, nella mostra «Tracce Segni che» l'assenza di figuratività indica una dinamica esponenziale di significati possibili. Perché il ciclo curato da Rosario Pinto con il contributo di Franco Lista, visitabile da stasera alle 18 al Castel dell'Ovo (e fino al 20 febbraio), raggruppa quattro artisti che da sempre, programmaticamente, hanno rinunciato alle suggestioni delle forme naturalistiche. Parliamo di Antonio Auriemma, Gianni De Tora (scomparso nel 2007), Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti. Il loro è uno spaccato significativo dell'arte napoletana (e italiana) della seconda metà del '900, un periodo di intenso fervore teorico e produttivo, nel segno di una grande trasversalità dei linguaggi. Un periodo tutto da riscoprire, che attende ancora di essere opportunamente risistemato criticamente, ma soprattutto stabilizzato espositivamente. E che mostre come questa contribuiscono significativamente a restituire ad una luce non sempre accesa a dovere su singoli esponenti e movimenti (come il Gruppo Geometria e Ricerca), che della dialettica figurazìone-astrazione e informale-geometrico/onirico-astratto hanno fatto il proprio filo conduttore. Sempre, comunque, nel segno della pittura e della plastica, vissuta sul filo, come scrive Pinto in catalogo, dei «controversi rapporti tra astrazione e astrattezza, tra impulsi gestuali e controllo progettuale, tra vigore contenutistico e fughe liriche». Come risulta ad esempio dal linguaggio di Carmine Di Ruggiero la cui opera vive di questa fecon- da evoluzione dall'astrazione geometrica alle strutture materiche «graffiate» con i segni del tempo e con vigorosi impulsi gestuali, che rivivono attraverso squarci di colore e linee solcate come trincee. Giovanni Ferrenti dà vita invece a sagome in cui l'anima meccanica e ascensionale non smarrisce mai la sua vocazione poetica ed emotiva. Decisamente più geometrica la visione di De Tora con tracce di architetture sviluppate in un confronto di forme dai colori intensi. Infine Antonio Auriemma, che dà vita a visioni sospese fra miraggi e suggestioni, legate a memorie colorate di un lirismo sempre fantastico.

 
ARTICOLO DI VIOLETTA LUONGO SUL GIORNALE ON-LINE ''IL MONDODISUK'' IL 24 GENNAIO 2009

Segni e tracce

"Tracce segniche" dell'arte napoletana. Le Sale del Castel dell'Ovo, da Martedì 20 Gennaio alle ore 18 fino al 20 febbraio, ospiteranno la collettiva di quattro artisti protagonisti della scena artistica napoletana. Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti, artisti che hanno svolto, lungo tutto l'arco della seconda metà del Novecento, una ricerca che si impernia intorno alle dinamiche informali per poi ampliare l'orizzonte della propria proposta anche verso altri territori, sostanzialmente aniconici, come quello geometrico o come quello onirico-astratto.All'inaugurazione sarà presentato anche il catalogo in cui, il curatore, Rosario Pinto, nel saggio storico-critico, affronta i temi scottanti e controversi del rapporto tra astrazione e astrattezza, tra impulsi gestuali e controllo progettuale, tra vigore contenutistico e fughe liriche. Pinto fornisce inoltre la perimetrazione critico-storiografica del contesto ambientale e culturale entro cui hanno operato Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti, sapendo guardare, oltre l'orizzonte domestico, alla scena internazionale. Necessari appaiono gli apparati documentari curati da Franco Lista e le numerose immagini che forniscono, per tabulas, l'indicazione di un percorso storico di non trascurabile rilievo . Il titolo stesso, "Tracce segniche", esprime proprio la marcata consistenza e la forza d'impatto della creatività di questi artisti che con straordinaria coerenza, hanno saputo coniugare l'esigenza dell'espressività generosa e spontanea col rigore della coscienza creativa attraversando, senza contaminarsene, anche i momenti più delicati che, soprattutto negli ultimi due decenni, si sono caratterizzati per l'abbassamento della cosiddetta soglia contenutistica. Quella che s'annuncia, nelle sale di Castel dell'Ovo, è una mostra intorno alla quale si potrà sviluppare un dibattito storiografico serio e costruttivo capace di volgersi ad osservare il nostro passato più vicino apprezzando e confrontando artisti che hanno svolto, parallelamente ma in maniera diversa e personale, il discorso sull'astrattismo-informale campano. L'impronta astratta bagnata di poeticità onirica e fantastica di Auriemma; il gioco di luci e colori tra i diversi piani formali e spaziali di De Tora; la pittura materica e tattile di Di Ruggiero che intreccia geometrismo e astrattismo, e infine le sculture metalliche di Ferrenti che dialogano con lo spazio in un rapporto meccanicistico e naturale tra pieni e vuoti, si coniugano armonicamente per questo evento.

cartolina di invito
 
cartoncino di invito
 
 
ESTRATTO DAL TESTO DI FRANCO LISTA PRESENTE SUL CATALOGO DELLA MOSTR A

Aniconiche interazioni

…...Alla lenta assimilazione, in Italia, della cultura artistica europea delle avanguardie storiche e di quelle più recenti del dopoguerra, faceva riscontro a Napoli una situazione di analogo antagonismo, dove una figura importante, sia come critico d'arte che come pittore, quale è stato Paolo Ricci, non lesinava giudizi critici negativi, se non vere e proprie stroncature, nei confronti, ad esempio di un Barisani. Insomma, la convivenza era difficile e aggravata da un ambiente culturale attardato sulla importante pittura dell'Ottocento e da poco in contatto con la pittura tardo impressionista. In questo contesto prende avvio la formazione dei nostri artisti, impegnati nella presente rassegna. Antonio Auriemma, Gianni De Tora, Carmine Di Ruggiero e Giovanni Ferrenti, come altri artisti napoletani, in sede formativa, subiscono la forte eredità culturale ma credo che benjaminianamente siano riusciti a "strappare la tradizione dal conformismo che è (sempre) in procinto di sopraffarla". In breve, i nostri artisti non hanno mai rinunciato alla difficile relazione con il contraddittorio ambiente culturale napoletano, partendo come tutti da premesse figurative che tuttavia già contenevano un perspicace dissenso riguardo ai conformistici e generalizzati modi pittorici e plastici locali. Se riguardiamo queste prime opere notiamo un distacco dalla convenzionale figuratività che contrassegnava l'ambiente, anche quello accademico, di quei tempi, a vantaggio di una visione meno ristretta, aperta ai nuovi linguaggi, alle nuove ricerche. Di qui il crescente impegno per la contemporaneità, laddove questa sottraeva all' arte la sua tradizionale condizione di reclusione in un ambito socio-culturale tanto ristretto, quanto appesantito da vincoli generazionali e dall'arresto su posizioni solo favorevoli al mercato dell'arte. Ecco, dunque, una molteplicità di esperienze pittoriche, plastiche, polimateriche. Basti pensare, per citare un solo artista, ai piccoli supporti trasparenti, i "cromo- grammi" di Giovanni Ferrenti, con i quali l'artista proiettava su grandi pareti i risultati della sua straordinaria e coinvolgente ricerca sulla epistemologia della macchia, resa da mescite cromatiche, oscillanti tra dimensione estetica e sollecitazione psicologica. Siamo appena negli anni Cinquanta ed è già vivo e incalzante l'impegno in complesse problematiche che comportavano il riconoscimento dell'aniconico quale visualizzatore dei processi mentali, consci o inconsci che fossero. Auriemma, De Tora, Di Ruggiero e Ferrenti avanzano nella loro esplorazione, guardano ai significati forti ed esaltanti delle avanguardie storiche; ricercano, dentro ogni possibile intrigo, ogni immaginabile tensione, la capacità generativa delle grandi correnti aniconiche. La serietà del loro lavoro è indiscutibile; è forse il requisito che li accomuna nelle loro pur diverse avventure creative. Tutto è assimilato: idee, influenze e suggestioni sono sintetizzate e ricondotte alle loro diverse personalità con esiti indubbiamente di grande qualità. Colpisce, infine, un ulteriore tratto comune al modo di lavorare che consiste nella capacità di vedere in profondità, di non restare in superficie: una sorta di "vedibilità recondita", una particolare vedibilità che talvolta cancella la "prospettiva" esterna per far assumere a quest'ultima il ruolo di "introspettiva" interna e cioè una visuale non più arcana e inaccessibile per profondità, ma invece una visuale aperta sull'Io. Ed è proprio questa "vedibilità recondita" che, consentendo il "processo astrattivo", ci fa considerare - per citare l'intensa e ancora validissima riflessione di Carlo Ludovico Ragghianti - "come principio supremo della forma [ ... ] astrarre quel che c'è di essenziale nell'essere [ ... ] per esprimere con la massima chiarezza e purezza l'essenza, l'idea".

 
ESTRATTO DAL TESTO CRITICO DI ROSARIO PINTO SUL CATALOGO DELLA MOSTRA

Tracce segniche

……Piש giovane ט De Tora, che non disdegna, ai suoi esordi, una sorta di rimeditazione figurativa secondo fluenze di tonalismo addolcito - in cui, perע, nulla ט concesso alla leggerezza decorativa - (Paese al tramonto, 1961, o Industria dello stesso anno). Attraverserא tutte le fasi piש ricche e significative delle dinamiche post-belliche, approdando nel corso del decennio dei Sessanta ed all' esordio ancora del decennio successivo, alle declinazioni 'paracinquantottine' dapprima e poi a quelle del cosiddetto 'Realismo di Denuncia' cosל prossimo, ad esempio, alle istanze di "Equipo Cronica" e di altri similari ''gruppi europei". Col tempo, De Tora non ha ceduto alle lusinghe d'un piש facile abbrivio creativo, e dalle istanze fertilmente esemplaristiche della ricerca piש originale che si svolgeva a Napoli negli anni del secondo lustro dei Cinquanta, ha tratto principalmente le ragioni d'un impegno costruttivo, disponendosi a dare corpo ad una lettura dello spazio che fosse certamente more geometrico, ma non per questo avulsa da una necessitא di volgersi a reinterpretare con occhio analitico le pieghe del vissuto ambientale e della storia. E' per ciע che puע affermarsi che la dinamica delle sue sintesi geometriche si iscrive a chiare lettere nel novero dell' 'astrazione', non certo dell' 'astrattezza'. In queste ricerche che piש che essere 'di sperimentazione', sono 'sperimentali', si manifesta ciע che vorremmo definire la pregnanza organica della produzione piשmatura di De Tora che consiste non soltanto nell'abbracciare la via 'geometrica', ma nel coniugare questa con un'istanza materica che veniva perimetrandosi come distillazione delle esperienze condotte negli anni di formazione e in quelli d'esordio. Su queste basi, d'altronde, poteva maturare - come ט avvenuto - un incontro di De Tora con le logiche di Di Ruggiero, ma anche con quelle di quegli artisti che si sarebbero dati piש d'un appuntamento espositivo sotto l'egida della formula di "Generazioni?", che fu, piuttosto che un programma, la registrazione d'un dato, quello, in particolare, dello stemperarsi e dello svolgersi d'un'esperienza logico-materica in un pugno d'artisti che erano portatori di istanze pregresse che andavano dalle decli- nazioni 'concretiste' fino alle declinazioni 'informali' attraversate da richiami di rigore 'geometrico'. Ancora una volta, insomma, la felice sintesi delle varie esperienze creative ha animato, a Napoli, un 'crogiuolo' produttivo all'insegna di 'Generazioni' che ha costituito un riferimento esemplaristico. E tale riferimento esemplaristico ha avuto grande valore per le leve subentranti di giovani in via di formazione, un valore esteso e producente, evidentemente di piש dilatata portata rispetto all' occasionalitא definita delle specifiche date d'appuntamento espositivo......

Antologia critica ragionata

GIANNI DE TORA
La dimensione della coscienza storica e della vita costituiscono, nella prospettiva critica di Arcangelo Izzo, il riferimento ineludibile per la dimensione normativa che presiede l'equibrio formale. "Gianni De Tora, come tutti gli artisti meridionali, ha l'occhio educato a forme sicure e abituato ai rapporti. Ma egli sa che questa formula goethiana, per quanto affascinante ed esaltante, induce il rischio di fratture e di opposizioni dialettiche inconciliabili e pericolose per la cultura. Egli, invece, sente o mostra di sentire che la forma, quasi membrana della vita, nasce dalla vita stessa senza comprometterne la fluidità e, contemporaneamente, senza restarle estranea. L'unità organica della 'vita' non esclude per nessuno la molteplicità delle sensazioni, delle percezioni e delle esperienze. Ma nessuna creatura vive completamente: e, come in ciascuno c'è sempre qualcosa di oscuro, di enigmatico, di non ancora vissuto appieno e compenetrato dal movimento reale della vita, così nell'artista - dice De Tora - c'è la coscienza dell' 'inerzia' della sostanza, del semplice essere dei materiali. Un' 'inerzia' che non è mai totalmente vinta e superata, perché mai toccata, radicalmente, dall'individualizzazione. Pertanto la sua 'conscientia', vibrante e frastagliata di artista, cogliendo la transmutabilità delle esperienze, risponde alle domande imperiose della 'forma' con l'indecisione che oscilla fino alla contemporaneità del sì e del no, proprio perché tesa a cogliere tutte le vibrazioni della natura e del corpo, per il quale la totalità della vita è presente in ogni singolo attimo. In questo processo di maturazione, anche la pittura di De Tora, da tecnica indiziaria per il particolare più insignificante, diventa traccia di qualcosa di più ampio e vasto, cui il pensiero si rivolge con uno schema generale, liberamente scelto, sentito e mai tradito, ma non più rigorosamente geometrico. Questi passaggi sono stati già segnalati dalla critica più attenta, che sin dal 1970 individuava il primo affiorare di una 'lirica semplicità dell'immagine' tesa a condensare 'in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena, il proprio valore conflittuale' (Antonio Del Guercio); cui seguiva il riconoscimento di un riscatto da 'certi indugi che sembravano legarlo a irresolutezze formative'. Riscatto che avveniva per la nuova qualità della pittura e per la differente capacità di dipingere le mutazioni del sole e della luce, che consentiva a De Tora di ''prendere coscienza anche di realtà sensibili e naturali proprio attraverso l'orditura nitidamente geometrica (Sandra Orienti 1975)".

(Dal testo di Arcangelo Izzo, Gianni De Tora homo pictoricus, in catalogo della mostra presso le Logge Vasari di Arezzo nel 1985).

Il rapporto di De Tora con la realtà della vita non si propone nei modi di una pedissequa trascrizione del dato) ma come progressiva maturazione d'un processo astrattivo in cui la forma geometrica assume il ruolo di evidenziatore epistemico del telaio logico dell'esistente. In tale prospettiva possono essere letti i contributi che qui proponiamo di Gino Grassi che fornisce un utile spaccato diacronico dell'artista e di Corrado Marsan che inquadra il rapporto geometria-realtà in De Tora. "De Tora compie un'operazione sulle forme geometriche, con particolare interesse per la sfera. L'impegnato artista ha compiuto tutta intera la propria evoluzione. Partito, infatti, da posizioni tardo-realistiche, De Tora, dopo un breve intervallo espressionistico, ha iniziato un discorso sulla forma e sull'idea della forma. Il punto focale dell'indagine di De Tora è, come ho detto, la sfera. Che è il punto di arrivo di elementi spesso contrapposti. Per la sua circolarità, infatti, la sfera è legata al naturale, ma, per la segmentazione in triangoli o in altri poligoni, la sfera è legata al razionale. Insomma, essa è il punto di incontro fra elementi 'a priori' ed elementi 'a posteriori', fra lirismo e ragione, fra regola e fantasia: De Tora con i suoi affascinanti teoremi ci dimostra di aver saputo cavare la poesia dalla forma obbligata e d'aver cominciato ad approfondire la 'filosofia della forma'. Come a dire che una ricerca può trasformarsi talvolta in una indagine concettuale".

(da un intervento critico di Gino Grassi nel "Roma" maggio 1975).

"Il suo [di Gianni De Tora] è un racconto in chiave geometrica (una geometria assai vicina all"oggetto ansioso' che ha contaminato buona parte della linea della ricerca contemporanea), che sembra voler mettere a fuoco, in un abilissimo gioco di scomposizione ricostruzione dello 'spazio nell'immagine', le metamorfosi e le tensioni del flusso e riflusso della 'realtà' (una realtà metafisica e tecnologica insieme) come per prolungarla nel suo atto poetico e drammatico. E proprio il senso di 'concretezza' che deriva da questo ininterrotto e allusivo viaggio esplorativo di De Tora, da questo minuzioso rapporto oggettivo con le 'cose' più disparate, è il termine che maggiormente ricorre nelle sue 'mutazioni' e nei suoi 'cerchi riflessi' più recenti: di qui una mozione di ricerca alla quale, in un secondo tempo, si possono aggiungere - grazie ad un segno che si scinde o si rassoda a seconda della necessità dei vari filtri del procedimento linguistico - anche le notazioni estetiche di liricità".

(da un intervento critico di Corrado Marsan ne "La Nazione" gennaio 1975).

La dimensione strutturale dell'impegno geometrico di Gianni De Tora viene analizzata da Enrico Crispolti e da Luigi Paolo Finizio che ne svelano le articolazioni minute. "Dal geometrismo quasi onirico, fantastico certo, in una sorta di apertura visionaria, quasi d'intenzione cosmica, in forme minuziose, si direbbe scritte piuttosto che architettonicamente strutturate, praticato nel 1972-73, De Tora è approdato nel '74, e lo ha approfondito nel '75, ad un diverso e nuovo tipo di ordine fondato su strutturazioni precise, geometriche, entro le quali è assunto il principio della mutazione, cioè della sequenza, come gamma di eventualità di trasformazione strutturale. In questo senso De Tora non smentisce i suoi precedenti interessi di visione (e persino appunto d'un certo visionarismo dinamico), ma li ripropone in termini più controllati concettualmente e formalmente più chiari e definiti. Tali sequenze, mutative e non meramente iterative sono ordite entro un'impalcatura generalmente fatta di quadrati e di cerchi: cioè una struttura elementare in funzione di telaio (ma in qualche caso saranno anche triangoli acutissimi). Mentre molto più varia e articolata è la struttura minore, in mutazione che compare entro tali inquadrature, nel cerchio soprattutto (così che in fondo l'intero dipinto è una sorta di presentazione di mutazioni strutturali continue, come fermate in una tavola d'orientamento, di indice di tali mutazioni). [ ... ] E dunque l'intenzione lirica di De Tora nel geometrismo costruttivo trova il suo veicolo, il suo strumento valorizzante, non tanto il suo fine. Ecco perché il lavoro di De Tora ha un tratto molto personale, che direi persino si può intendere quale tentativo di proporre un'accezione propria, 'meridionale' se volete, a certe scadenze di cultura geometrica seriale, d'origine invece tecnologica" .

(dall'intervento di Enrico Crispolti in catalogo della mostra di Gianni De Tora alla galleria 'Artecom' di Roma nel novembre del 1975)

"Il reticolo che fa da supporto alle scomposizioni, alle minute decostruzioni delle tipologie geometriche non solo è esigenza di metodo che non si cela e diventa parte costitutiva dell'individuazione d'immagine, ma ribadisce nondimeno, in modo primario, la volontà di chiarezza comunicativa cui tende l'esperienza in corso. Questo rendere direi quasi trasparente l'enunciato e i modi di costruzione dell'enunciato stesso diventa, dunque, un bisogno concettuale ed emotivo ad un tempo. . [ ... ] L'iride, l'arcobaleno, lo spettro cromatico sono in fondo schemi di riferimento sia naturali che mentali che alludono o segnalano come il fumo al fuoco o le nubi alla pioggia. E il referente è sempre la luminosità solare come la chiarezza concettuale. [ ... ] Resta d'altro canto costante in De Tora il riferimento all'ambiente naturale quasi si perpetuasse nel suo linguaggio il suggerimento da cui egli muove e che in realtà trova in quel linguaggio soltanto uno strumento di conoscenza. Sta appunto all'interno di questo dato consapevole la condizione di rendere esplicito senza equivoci il bisogno di risonanza interiore che governa l'artificio delle sue scomposizioni cromatiche".

(da Luigi Paolo Finizio, L'immaginario geometrico, Napoli 1979).

Pierre Restany definisce nella dimensione del 'segno' l'ancoraggio etico della pittura di De Tora confermandone l'irrinunciato legame con la datità delle cose. "Qual è il messaggio della pittura di De Tora? Credo che il sindaco abbia detto una parola giusta, alludendo a questa geometria umanista che potrebbe proprio definire bene lo stile e soprattutto lo sviluppo interno dell'opera del nostro artista e credo che questa analisi sia molto importante e precisa. E' vero che la Magna Graecia abbia, per molti aspetti, continuato una tradizione di vero Umanesiimo razionale, ed il Sud, che incarna De Tora, è un Sud razionale e nello stesso tempo irrazionale, tra ordine e disordine e comunque di grande spessore umano. E' vero che lo sviluppo interno della sua opera parte da un certo lirismo espressionista, per arrivare molto presto ad una codificazione semiotica veicolata da un impianto geometrico minimale. Da questa semiotica geometrica emerge il ritmo melodico del cromatismo mediterraneo". (Dall'intervento di Pierre Restany nel contesto dell'inaugurazione di una mostra di Gianni De Tora alla Galleria Civica di arte moderna di Gallarate nel febbraio del 1993).

 
foto tratta dal volume "Tracce Segniche" edito in occasione della mostra
 
foto di repertorio
 
 
 
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